Nel nostro ordinamento giuridico si è sempre affermato che il risarcimento del danno non aveva alcuna funzione punitiva (al contrario di quanto accadeva, per esempio, in altri sistemi, vedi gli Stati Uniti d’America), ma solo reintegratoria, per così dire ripristinatoria, compensativa.

Ciò significa che se il danno provocato dal danneggiante era – suol essere un esempio – di 10 euro, al danneggiato spettava solo un tal somma, nulla di più, nulla di meno.

Tant’è che ancor oggi v’è una norma, nel nostro codice civile, che consente il c.d. risarcimento in forma specifica, vale a dire la possibilità di risarcire (se possibile) il danno riparando, per esempio, la cosa o il bene danneggiato ripristinando in via diretta il bene oggetto di danno (pensiamo ad un incidente stradale ed alla facoltà per il danneggiante di sostituire il versamento del denaro necessario a riparare l’automobile rovinata, con la diretta riparazione della vettura).

Si riconosceva, inoltre, anche la perdita del guadagno provocata dall’illecito (gli straordinari non corrisposti in busta paga a causa del periodo di inabilità al lavoro, la diminuzione del reddito del lavoratore autonomo per l’impossibilità di svolgere la sua ordinaria prestazione e così via).

E che, in ogni caso, tutto si limitasse a semplicemente “ripianare” la perdita è dimostrato anche dall’esperienza di tutti noi nei più disparati, quanto comuni, casi della vita: 1) il veicolo coinvolto in un incidente stradale la cui riparazione viene definita antieconomica (cioè superiore al valore intero del mezzo) che suggerisce alle compagnie di assicurazioni di corrispondere il solo valore dell’intero veicolo, poco contando l’esborso al quale si espone il proprietario riacquistando un veicolo nuovo (la cui spesa, magari, non era nemmeno programmata); 2) il danno provocato ai muri, alle piastrelle di casa dovuto ad un’infiltrazione proveniente dal vicino appartamento. In questo caso, la riparazione tende a limitarsi a ciò che in concreto è stato danneggiato a nulla rilevando che, a distanza di tempo, le piastrelle di casa non siano più rinvenibili sul mercato così da comportarne l’intera sostituzione.

Si è affacciata, tuttavia e in tempi recenti, qualche interessante novità: la globalizzazione ha colpito anche “a casa nostra” e così la Corte di Cassazione si è dovuta occupare della possibilità di “assimilare” (delibare in termini tecnici) nel nostro ordinamento interno decisioni giudiziali straniere che hanno riconosciuto il danno punitivo (cioè con funzione non meramente compensativa) in giudizi che si sono svolti oltre confine.

Già con decisione del 15 aprile 2015, n. 7613 la Corte di Cassazione si era occupata delle c.d. pene private (riguardanti condanne non semplicemente reintegratorie del danno subito, ma anche sanzionatorie, cioè sganciate dall’esigenza e dalla funzione di ripianare le conseguenze dell’illecito) in relazione ad un’ipotesi conosciuta del diritto belga.

Ancora la Corte di Cassazione con un’ordinanza del maggio 2016 affrontava la questione dell’ammissibilità, nel diritto italiano, del riconoscimento delle sentenze pronunciate da giudici stranieri comportanti il riconoscimento dei danni punitivi e, in tale occasione, la sezione I della Corte sollecitava l’intervento delle Sezioni Unite sì da orientare meglio tutti gli operatori del diritto e gli stessi giudici.

Con sentenza resa in data 5 luglio 2017, n. 16601, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione così statuivano: “Nel vigente ordinamento italiano, alla responsabilità civile non è assegnato solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, poiché sono interne al sistema la funzione di deterrenza e quella sanzionatoria del responsabile civile. Non è, perciò, ontologicamente incompatibile con l’ordinamento italiano l’istituto di origine statunitense dei risarcimenti punitivi”.

Pur nella particolarità del caso (trattavasi, anche qui, della possibilità, o meno, di riconoscere una sentenza pronunciata da un giudice non italiano), la decisione non mancherà di provocare conseguenze, interpretazioni e approfondimenti posto che, in qualche misura, si è aperta una strada alla sanzione risarcitoria quale pena privata del tutto sganciata, come funzione, da quella a cui eravamo stati abituati: risarcire significava ripristinare, recuperare, compensare giammai (si diceva) riconoscendo somme in più rispetto al danno concretamente provocato poiché ciò avrebbe ingiustificatamente arricchito il beneficiato (ancora con decisione del 19/1/2007, n. 1183 dopotutto, altra sezione semplice della Corte di Cassazione aveva negato al risarcimento del danno qualsivoglia funzione diversa rispetto a quella rigorosamente ripristinatoria).

Si sono, pertanto, aperte le porte a nuove prospettive che verranno presto vagliate non solo dall’avvocato (che deve pensare al miglior modo di tutelare il proprio cliente), ma anche verosimilmente dai giudici di merito ai quali perverranno fascicoli con richieste risarcitorie a “doppia pretesa”: una somma per compensare (dieci ho perduto e dieci domando) ed una per sanzionare, per punire il danneggiante entro il tradizionale alveo del rapporto tra privati.


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