Di Nicoletta Giazzi


In una recente ordinanza il Tribunale di Bergamo ha stabilito, o meglio riaffermato, il principio dell'incompatibilità della notifica effettuata ai sensi dell'art. 143 c.p.c. (notifica a persona cui residenza, domicilio e dimora siano sconosciuti) con il procedimento di sfratto per morosità o di convalida o sfrtto per finita locazione (Procedimento R.G. n. 5680/19).

La pronuncia si pone in continuità con l'orientamento giurisprudenziale secondo il quale la notificazione ai sensi dell'art. 143 c.p.c. dell'atto di intimazione per la convalida di licenza o di sfratto è incompatibile con il procedimento sommario in esame, non consentendo l'invio all'intimato dell'avviso di cui all'art. 660 c.p.c. e, dunque, non garantendo a quest'ultimo un sufficiente grado di probabilità che questi abbia avuto l'effettiva conoscenza dell'atto e delle sue possibili gravi conseguenze (convalida licenza o sfratto).
 
Da ciò deriva che la mancata comparizione dell'intimato deve presumersi non essere volontaria, ma la conseguenza della non conoscenza del procedimento radicato nei suoi confronti.

Il Giudice pertanto, non potendosi dire raggiunto il precipuo scopo degli artt. 660 e 663 c.p.c., propri del procedimento speciale in esame, non potrà convalidare l'intimato sfratto ma muterà il rito, introducendo, previ gli adempimenti di legge, un giudizio di cognizione ordinario per il quale la notificazione ai sensi dell'art. 143 c.p.c. è pienamente efficace ed idonea al raggiungimento dello scopo.

Questo è quanto disposto dal Giudice del Tribunale di Bergamo.

E se c'è poco da evidenziare su siffatta interpretazione, mutuata dall'Ordinanza della Corte Costituzionale in data 17 gennaio 2000 n. 15, e dunque condivisa dalla giurisprudenza di merito, non altrettanta univocità si rinviene sulle conseguenze rispetto ad un atto di intimazione notificato ai sensi dell'art. 143 c.p.c..

Se infatti il Tribunale di Bergamo (così come altri, ad esempio quello di Torino) consente di mutare il rito e, dunque, di fare salvi gli effetti sostanziali dell'atto, si segnala che altri tribunali (quale, ad esempio, quello di Bologna nel suo protocollo sugli sfratti) adottano ben altra prassi, ritenendo maggiormente corretto concludere il procedimento di convalida introdotto con notifica ex art. 143 c.p.c. con la dichiarazione di inammissibilità.

La conseguenza, di non poco conto, è che il locatore dovrà riproporre la domanda di risoluzione ai sensi dell'art. 447 bis c.p.c., e ciò sul presupposto che il c.d. mutamento del rito presuppone la corretta instaurazione del contraddittorio già nella fase di convalida.

Non così, invece, la prassi adottata dal Tribunale orobico che, come si è detto, provvede con ordinanza ex art. 667 c.p.c. di mutamento del rito.


Il contenuto di questo articolo ha finalità meramente informative e non costituisce prestazione di parere professionale. Tutti i diritti riservati – Avv. Nicoletta Giazzi