E' questo il principio sancito dalla sentenza n. 2263 del Tribunale di Bergamo depositata il 18 dicembre 2015 in esito ad un processo avente ad oggetto un grave incidente stradale, che ha visto coinvolti un autoveicolo ed un ciclomotore, sul quale viaggiavano due ragazzi, scontratisi frontalmente. A causa dell'urto entrambi i ragazzi che viaggiavano sul ciclomotore decedevano; non vi erano elementi per risalire a quale dei due fosse alla guida del motorino.

Il giudizio veniva promosso dal conducente-proprietario del veicolo, al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti al proprio mezzo, assumendo la responsabilità esclusiva del conducente del ciclomotore nella determinazione del sinistro.

Si costituivano in giudizio gli eredi dei due ragazzi deceduti, sostenendo l'esclusiva o quanto meno concorrente responsabilità del conducente dell'autovettura, anche ai sensi dell'art. 2054, secondo comma, cod. civ., avanzando entrambi domande di risarcimento dei danni non patrimoniali da perdita parentale. Ciascuna parte convenuta assumeva che il proprio figlio si trovasse sul ciclomotore quale trasportato e svolgeva quindi domanda di risarcimento del danno (non solo nei confronti del conducente dell'autovettura, ma) anche nei confronti dei prossimi congiunti dell'altro ragazzo deceduto e della compagnia che assicurava il ciclomotore contro la responsabilità civile. In buona sostanza, la famiglia dell'uno riteneva che alla guida del ciclomotore ci fosse l'altro.

Si dava quindi ingresso all'istruttoria attraverso l'espletamento di consulenze tecniche cinematica e medico-legale.

In punto responsabilità, il Giudice del Tribunale di Bergamo ha ritenuto fondata la tesi prospettata dall'attore e concludeva affermando che a carico del conducente del ciclomotore dovevano ritenersi sussistenti due profili di colpa grave (invasione di corsia e guida senza l'utilizzo dei sistemi di segnalazione visiva) nella determinazione del sinistro, escludendo comprovati e concreti profili di responsabilità a carico del conducente dell'automobile.

Il Giudice rigettava dunque le domande di risarcimento del danno svolte nei confronti del conducente dell'autoveicolo dai prossimi congiunti dei due ragazzi.

Quanto alle domande svolte da ciascuna delle due famiglie dei due giovani nei confronti dell'altra e nei confronti della compagnia assicurativa del ciclomotore (entrambe, lo si ricorda, assumendo che il proprio figlio viaggiasse sul ciclomotore in qualità di trasportato), le stesse venivano respinte non ritenendo il Giudice raggiunta la prova di quale tra i due ragazzi fosse alla guida del ciclomotore e, quindi, chi di loro viaggiasse quale trasportato.

Secondo la sentenza in argomento, “non si rinvengono elementi di fatto che consentono di ritenere raggiunta la prova, diretta o indiretta, dell'una o dell'altra ipotesi ricostruttiva”.

In buona sostanza, in assenza di testimoni e di circostanze fattuali decisive ai fini del raggiungimento della prova di quale dei due ragazzi fosse alla guida del ciclomotore, nonché di relazioni tecniche in grado di “contribuire alla dimostrazione certa o quantomeno altamente probabile dell'una o dell'altra soluzione”, il Giudice concludeva che “in applicazione del principio della prova di cui all'art. 2697 cod. civ., la domanda risarcitoria [degli eredi dei due ragazzi; n.d.r.] non può trovare accoglimento”, non essendo stato provato chi dei due fosse trasportato sul ciclomotore e chi fosse il conducente.

Identico principio è stato sancito dal Tribunale di Ascoli Piceno nella sentenza n. 1048/2015, pubblicata poche settimane prima (il 2 ottobre 2015) rispetto a quella del Tribunale di Bergamo, in altra causa che pure ha visto coinvolto il nostro studio.

Il Tribunale marchigiano ha affrontato una fattispecie del tutto simile a quella decisa dal Tribunale di Bergamo (la moto sulla quale viaggiavano i due ragazzi deceduti usciva peraltro di strada senza il coinvolgimento di altri veicoli): anche in tal caso non era dato sapere chi dei due giovani fosse alla guida della motocicletta. Il Tribunale di Ascoli ed ha concluso per il rigetto delle domande “incrociate” di risarcimento del danno svolte dai prossimi congiunti dei due ragazzi, non essendo sufficienti a far ritenere raggiunta la prova di chi fosse il conducente e trasportato sul mezzo elementi “probabilistici” o ricostruzioni “verosimili”.

Le sentenze sono state oggetto di appello e quindi le vertenze sono ancora sub judice.

In entrambe le impugnazioni le difese degli appellanti hanno assunto che le pronunce costituiscono un non liquet e, in sostanza, una denegata giustizia.

Staremo a vedere se le corti d'appello adite confermeranno le due decisioni (che peraltro trovano autorevole conferma in altre pronunce di merito; Tribunale di Pavia, sentenza n. 22 del 15 gennaio 2008, confermata dalla Corte d'Appello di Milano n. 1471 del 23 febbraio 2011) o se, invece, i giudici del gravame faranno una diversa applicazione dei principi in tema di valutazione delle prove e, in particolare, di quelli secondo cui la prova dei fatti dedotti in giudizio può avvenire anche per presunzioni, purché siano gravi, precise e concordanti.

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