In una recente ordinanza il Tribunale di Bergamo ha affermato la non ripetibilità delle spese legali liquidate all'esito di una procedura esecutiva.

Richiamando una recente giurisprudenza della Suprema Corte, il Giudice (procedimento R.G.E. 805/18) ha respinto l'istanza di intervento in una procedura esecutiva proposta dal creditore per le spese legali liquidate in suo favore in altra procedura esecutiva; tali spese – se non coperte dal ricavato dell'esecuzione nell'ambito della quale sono state liquidate – non sarebbero ripetibili e, pertanto, non rappresenterebbero un credito al di fuori della procedura esecutiva alla quale si riferiscono.

La giurisprudenza richiamata (Cass. 24571/18) effettivamente si esprime in questi termini e, in particolare, afferma che “quando provvede alla distribuzione o assegnazione del ricavato o del pignorato al creditore procedente e ai creditori intervenuti, determinando la parte a ciascuno spettante per capitale, interessi e spese, effettua accertamenti funzionali alla soddisfazione coattiva dei diritti fatti valere nel processo esecutivo e, conseguentemente, il provvedimento di liquidazione delle spese dell'esecuzione, in tal caso ammissibile, implica un accertamento meramente strumentale alla distribuzione o assegnazione stessa, privo di forza esecutiva e di giudicato al di fuori del processo in cui è stato adottato”.

Mancherebbe pertanto quella valenza in senso lato contenziosa tipica dei giudizi ordinari (siano essi di mero accertamento, che di condanna o costitutivi), all'esito dei quali, ai sensi dell'art. 91 del codice di rito, il giudice deve procedere al governo delle spese legali.

Mentre nell'ambito del giudizio contenzioso la decisione in ordine alle spese di lite “accede alla verifica processuale della fondatezza della posizione sostanziale quale oggettivamente e soggettivamente pretesa”, nell'ipotesi del procedimento esecutivo, sempre secondo la Suprema Corte, “solo in termini descrittivi può parlarsi di soggetto che soccombe rispetto all'azione esecutiva esercitata, mentre, in chiave propriamente ricostruttiva, risulta evidente che la parte subisce l'azione rimanendo incerta solo l'integrale soddisfazione del titolare di quella, ma non la fondatezza della posizione sostanziale sottesa”; non vi è una “dialettica processuale” in senso proprio, ma una mera soggezione del debitore al potere del creditore (salvo, ma ciò è ovvio, nel caso di proposizione di opposizione, all'esecuzione, agli atti esecutivi o di terzo, a seguito del quale si “innescano una posizione realmente avversativa alla pretesa in parola ma che, non a caso, sono connessi e però distinti giudizi di cognizione”.

Quello affermato dal Tribunale di Bergamo – che, come si è visto, trova il conforto di altre pronunce di merito e di legittimità – è uno di quei principi capaci di orientare le scelte nel momento cruciale nel quale si deve dare esecuzione ad un titolo: il creditore deve essere ben consapevole, e reso edotto dall'avvocato, che quelle spese non potranno essere recuperate (non sono, come dice il provvedimento in argomento, ripetibili) nel caso in cui il ricavato dall'esecuzione nell'abito della quale vengono liquidate appare incapiente.


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