Di Giulia Bettini

L’art. 115 del codice di rito, così come modificato dalla Legge n. 69 del 18 giugno 2009, ha codificato il principio di non contestazione, già da diversi anni radicato in giurisprudenza fin da quella nota sentenza n. 761/2002, resa a Sezioni Unite, con cui la Suprema Corte è giunta a ritenere non contestati e, come tali, non abbisognevoli di prova, i fatti esplicitamente o implicitamente ammessi, ovvero i fatti sui quali la parte abbia mantenuto il silenzio.

La vitalità di tale principio è stata ribadita in una recentissima ordinanza del Tribunale di Bergamo (resa nell’ambito del giudizio n. 8328/2018 R.G., tuttora in corso).

Ecco il caso. Un comune veniva convenuto in giudizio, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2051 cod. civ., dagli eredi di un uomo deceduto a pochi giorni di distanza da una caduta asseritamente riconducibile alla cattiva manutenzione, da parte dell’ente, di un marciapiede.

Nel costituirsi in giudizio, il Comune convenuto chiedeva il rigetto delle avverse domande e deduceva, a tal fine, una serie di circostanze, tanto in ordine alla (contestata) dinamica del sinistro, quanto alle pregresse condizioni di salute della vittima, idonee ad assumere rilievo; nessuna contestazione veniva sollevata al proposito dalla difesa di parte attrice, né alla prima udienza di comparizione né, tanto meno, nell’assegnato termine di cui all’art. 183 comma 6 n. 1 c.p.c..

In ragione di ciò, in sede di ammissione delle prove, il Giudice rigettava le istanze istruttorie formulate – per scrupolo difensivo – dal Comune in ordine ai fatti oggetto di allegazione.

Segnatamente, l'istanza volta alla prova testimoniale veniva respinta poiché vertente “su circostanze non contestate, da ritenersi pertanto pacifiche ai sensi dell’art. 115 c.p.c.”; peraltro, “posto che il principio di non contestazione opera quale relevatio ab onere probandi, le circostanze al cui accertamento sono volti l’ordine di esibizione e la richiesta di informazioni devono ormai ritenersi pacifiche”, venivano respinte anche le istanze formulate ex artt. 210 e 213 c.p.c., finalizzate ad assumere informazioni sullo stato di salute della vittima al momento del sinistro.

L’ordinanza in argomento costituisce un esempio di corretta applicazione del principio di non contestazione; del resto, utilizzando le parole della Suprema Corte, il “fatto non contestato non ha bisogno di prova perché le parti ne hanno disposto, vincolando il Giudice a tenerne conto senza alcuna necessità di convincersi della sua esistenza” (cfr. Cass. Civ. n. 22837 del 10 novembre 2010).

Nell’occasione, il Giudice del Tribunale di Bergamo ha inoltre implicitamente ribadito la distinzione tra attività assertiva e attività asseverativa (già oggetto di approfondimento su questo sito, fin dal mese di aprile 2017), non ammettendo i capitoli di prova per testi formulati da parte attrice poiché vertenti su circostanze non allegate nei termini perentori posti dal codice di procedura civile (ed effettivamente, controparte aveva tentato di introdurre per la prima volta nella seconda memoria ex art. 183 c.p.c. le circostanze dalle quali far discendere la gravità della perdita subita dagli attori e la qualità e l’intensità del rapporto in essere tra questi ultimi e la vittima).

Il provvedimento in argomento ricorda al difensore che la puntuale allegazione dei fatti posti a fondamento delle proprie pretese, da effettuarsi (nel processo civile ordinario) entro il termine assegnato per il deposito della prima memoria ex art. 183, sesto comma c.p.c. deve essere sempre accompagnata dalla tempestiva presa di posizione, specifica ed alla prima difesa utile, in ordine a quelli allegati dall’altra parte.

In definitiva, l'avvocato deve fare buon governo del principio di non contestazione (giacché i fatti non specificamente e tempestivamente contestati possono essere ritenuti provati dal Giudice) e della distinzione tra attività assertiva e asseverativa (in quanto i fatti non tempestivamente allegati nei limiti dell'attività assertiva – che, nel processo ordinario, sono da individuare nella prima memoria ex art. 163, terzo comma, c.p.c. – non potranno essere oggetto di prova).

Sono queste le due leve a disposizione del difensore per poter assicurare al proprio assistito la migliore difesa; lo scrupolo dell'avvocato deve quindi portare con sé la doverosa (e spesso inespressa) tempestiva sollecitazione rivolta al proprio cliente affinché questi prenda posizione sui fatti dedotti dalla controparte e ad esplicitare, altrettanto tempestivamente, tutte le circostanze di fatto ritenute rilevanti; sarà poi ulteriore impegno dell'avvocato procedere alla selezione tra queste ultime.

Il presente articolo ha finalità meramente informative e non costituisce la prestazione di un parere professionale. Tutti i diritti riservati - Avv. Giulia Bettini.